mercoledì 26 ottobre 2016

La Spalla: anatomia e funzione.

ANATOMIA GENERALE
Con il termine “spalla” si intende in senso stretto l’articolazione gleno-omerale, formata dalla testa dell’omero e dalla porzione della scapola (cavità glenoide) con cui essa è a contatto. Comunemente, tuttavia, con il termine “spalla” si indicano anche una serie di strutture che circondano l’articolazione.  Ossia, i tendini della cuffia dei rotatori della spalla, il tendine bicipitale (o tendine del capo lungo del bicipite), l’acromion, la borsa sottoacromiale e l’articolazione acromion-claveare.
- I tendini della cuffia di rotatori, che sono la parte terminale dei muscoli omonimi, si inseriscono sulla testa dell’omero. Essi sono: il sottoscapolare che è situato anteriormente e si inserisce sul trochine, ilsopraspinoso, posto superiormente, e ilsottospinoso e il piccolo rotondo che rivestono la parte posteriore della resta dell’omero e si inseriscono tutti sul trochite.
- Il bicipite, il più evidente dei muscoli del braccio, ha due tendini: uno si inserisce fuori dall’articolazione della spalla. L’altro, detto tendine bicipitale (o del capo lungo del bicipite) si inserisce sul bordo superiore della cavità glenoide in una zona – detta ancora bicipitale – in cui l’estremità del tendine si fonde con il cercine glenoideo. Il tendine, dopo il suo decorso all’interno dell’articolazione della spalla al di sopra della testa omerale, si immette in una scanalatura ossea dell’omero, detta doccia bicipitale, per fuoriuscire poi dall’articolazione. Nella doccia ossea è mantenuto in sede da un legamento che trasforma la doccia in un canale. I due tendini del bicipite si continuano con i rispettivi ventri muscolari, che formano poi un ventre unico.
- L’acromion è la parte della scapola che sormonta itendini della cuffia. Tra questi e l’acromion è interposta  la borsa sottoacromiale, che è una sorta di cuscinetto che riduce l’attrito tra la cuffia e l’acromion nei movimenti del braccio. Lo spazio in cui si trovano i tendini e la borsa è detto “acromion-omerale” In questo spazio decorre anche un legamento (“coraco-acromiale”) teso tra una prominenza ossea della scapola, detta “apofisi coracoide” e la faccia inferiore dell’acromion. Ne risulta una sorta di arco (arco coraco-acromiale) sotto il quale passa la testa dell’ omero con il tendini della cuffia nei movimenti del braccio. Tra l’acromion e la clavicola vi è una piccola articolazione (acromion-claveare) situata a livello della parte più esterna della clavicola
- Articolazione gleno-omerale La testa dell’omero è composta da una sorta di emisfera rivestita da cartilagine che si articola con la cavità glenoide  (o glena) che è a forma di pera con la porzione più larga in basso. Sulla parte laterale della testa omerale vi sono due prominenze, il trochine su cui si attacca il tendine del sottoscapolare, e il trochitesu cui si inseriscono gli altri tendinei della cuffia.
- Lungo il bordo della glenoide si inserisce il cercine glenoideo, costituito da tessuto fibrocartilagineo su cui si inserisce la capsula articolare dell’articolazione. Sull’omero la capsula si attacca laddove finisce la cartilagine articolare, in modo da formare una sorta di “manicotto” che tiene unite le due ossa. La capsula articolare è rinforzata dai trelegamenti gleno-omerali, superiore, medio e inferiore, che sono porzioni ispessite della capsula stessa. La porzione della scapola situata immediatamente all’interno (ossia verso il centro del corpo) della cavità glenoide è il collo dellascapola, dove talora si inseriscono i legamenti gleno-omerali.
- Articolazione acromion-claveare (o acromio-clavicolare). Essa è formata da due faccette ossee rivestite da cartilagine e da una capsula articolare, rinforzata dai legamenti acromio-clavicolari. Peraltro, i principali stabilizzatori della clavicolasono i due legamenti coraco-clavicolari, che partono dalla coracoide per inserirsi sulla clavicola.
BIOMECCANICA DELLA SPALLA

La spalla, articolazione prossimale dell'arto superiore, è la più mobile di tutte le articolazioni del corpo umano. Possiede tre gradi di movimento, che permettono l'orientamento dell'arto superiore in rapporto ai tre piani dello spazio: asse trasversale, asse antero-posteriore, asse verticale.
La flesso-estensione
I movimenti di flesso-estensione avvengono intorno ad un asse frontale che decorre attraverso la testa dell'omero. L'estensione è normalmente un movimento di modesta ampiezza da 45° a 50°, mentre la flessione risulta essere un movimento di grande ampiezza che può raggiungere i 180°.
Adduzione e abduzione
Avvengono lungo un asse sagittale che attraversa la testa dell'omero. L'adduzione sul piano frontale, partendo dalla posizione di riposo, è meccanicamente impossibile in ragione della presenza del tronco. Essa è possibile solo in associazione a una flessione che permette 40-45° di movimento, o in associazione a una estensione che comunque permette solo pochi gradi di movimento. L'abduzione è il movimento che allontana l'arto superiore dal tronco. Con il solo contributo dell'articolazione gleno-omerale essa non supera i 90° di movimento, che risulta arrestato dal contatto della piccola tuberosità con il cercine glenoideo. Per gradi superiori si parla di elevazione che presuppone l'intervento delle articolazioni del cingolo scapolare e dell'articolazione scapolo-toracica, con un movimento di scivolamento e rotazione della scapola sulla parete toracica.
Movimenti di rotazione
La rotazione del braccio sul suo asse longitudinale si può effettuare in qualunque posizione si trovi la spalla, l'asse preso in considerazione parte dalla testa dell'omero e raggiunge il processo stiloideo dell'ulna (considerando l'arto superiore completamente esteso).
La rotazione esterna (Extrarotazione): ha un'ampiezza di 80°. Questa ampiezza totale di 80° è raramente utilizzata quando il braccio è verticale lungo il corpo.
La rotazione interna (Intrarotazione): ha un'ampiezza che va dai 100° ai 110°.
Movimenti di circonduzione
La circonduzione combina i movimenti elementari attorno ai tre assi. Quando il movimento è spinto e portato alla sua ampiezza massima, il braccio descrive nello spazio un cono irregolare: il cono di circonduzione. Questo delimita, in una sfera che abbia per centro la spalla ed un raggio uguale alla lunghezza dell'arto superiore, un settore sferico di accessibilità, all'interno del quale la mano può raggiungere gli oggetti senza muovere il tronco.
Stabilità gleno-omerale
L'articolazione gleno-omerale è una enartrosi dotata della massima libertà di movimento ed è quindi intrinsecamente instabile. In confronto all'articolazione dell'anca, dove la cavità acetabolare circonda buona parte della testa del femore fornendo una notevole resistenza alla lussazione, nella spalla, la piccola e piatta cavità glenoidea riesce ad inglobare una porzione molto ristretta della testa omerale. L'articolazione gleno-omerale è circondata da una sottile capsula articolare che è rinforzata, nella sua porzione antero-superiore, dai legamenti coraco-omerale e gleno-omerali. La capsula articolare ed i legamenti ad essa associati sono lassi e pertanto non in grado di stabilizzare l'articolazione, nella maggior parte delle comuni posizioni funzionali dell'articolazione gleno-omerale. Per questo motivo essi servono da "redini di controllo" nelle traslazioni e nelle rotazioni gleno-omerali ma non possono essere considerati "stabilizzatori principali". I meccanismi stabilizzatori principali, che funzionano per l'intera varietà dei movimenti gleno-omerali, compresi quelli intermedi, sono (20):
- l'equilibrio gleno-omerale;
- la "concavity compression";
- l'adesione-coesione;
- la ventosa gleno-omerale;
- il volume articolare limitato.
Equilibrio gleno-omerale
L'equilibrio gleno-omerale è un meccanismo stabilizzatore nel quale la glenoide è posizionata in modo che la somma vettoriale di tutte le forze dei muscoli che agiscono sulla testa omerale (forza di reazione globale dell'articolazione omerale) passi attraverso la cavità glenoidea. L'ipoplasia della glenoide o una frattura del bordo glenoideo o una lesione di Bankart, possono diminuire la lunghezza dell'arco glenoideo riducendo l'angolo di stabilità dato dall'equilibrio gleno-omerale. Il meccanismo di stabilità dell'equilibrio gleno-omerale può inoltre rivelarsi inutile in presenza di un grave squilibrio muscolare o di una eccessiva retroversione glenoidea perché, in queste condizioni, la forza di reazione globale dell'articolazione omerale non è allineata con la glenoide.
"Concavity compression"
La "concavity compression" è un importante meccanismo di stabilità per cui la compressione della testa omerale convessa, esercitata dai muscoli della cuffia dei rotatori, nella cavità glenoidea concava, mantiene la testa in posizione di stabilità rispetto alle forze di traslazione. Tale stabilità è in relazione alla profondità della concavità ed alla forza di compressione esercitata dai muscoli della cuffia dei rotatori. La profondità della cavità glenoidea è il risultato di un insieme di componenti che sono l'osso glenoideo con la sua lieve concavità centrale, la cartilagine articolare, che è più spessa alla periferia rispetto al centro, ed il labbro glenoideo. Questo meccanismo stabilizzatore può quindi essere compromesso nel caso in cui una glenoide presenti uno sviluppo ridotto o piatto o se la sua concavità effettiva risulti diminuita per lesione o usura. Fratture del bordo glenoideo o il distacco del labbro glenoideo, diminuendo la profondità effettiva della fossa glenoidea, possono quindi predisporre l'articolazione a ricorrenti sublussazioni o lussazioni. Analogamente, questo meccanismo di stabilizzazione si riduce per lesioni a carico della cuffia dei rotatori: il venir meno della loro funzione di "compressori" della testa omerale, può associarsi alla sub-lussazione superiore della testa omerale ed all'usura del labbro superiore della cavità glenoidea.
Adesione-coesione
L'adesione-coesione costituisce un meccanismo di stabilità per cui le superfici dell'articolazione, bagnate dal liquido articolare, sono mantenute insieme grazie all'attrazione molecolare del liquido verso se stesso e verso le superfici articolari. La stabilità fornita dall'adesione-coesione può essere compromessa da:
- processi infiammatori dell'articolazione che riducono le proprietà di adesione e coesione del liquido articolare;
- da processi degenerativi dell'articolazione che diminuiscono la produzione del liquido articolare e quindi la "bagnabilità" delle superfici articolari;
- da fratture delle superfici articolari o da una glenoide congenitamente piccola nelle quali l'area di contatto gleno-omerale diminuisce.
Ventosa gleno-omerale
Il centro della glenoide è coperto da uno strato relativamente sottile di cartilagine articolare. Più ci si allontana dal centro, più la cartilagine articolare si ispessisce, presentando una maggiore flessibilità. Nella parte più esterna, il labbro glenoideo ed infine la capsula assicurano una flessibilità ancora maggiore. Questa flessibilità graduata permette alla cavità articolare di adattarsi ed aderire perfettamente alla superficie articolare omerale che è liscia, creando un effetto "ventosa" che resiste alle forze distraenti. Questo meccanismo stabilizzatore viene definito ventosa gleno-omerale. Esso è inefficace in situazioni in cui la cavità non può aderire alla superficie della testa omerale, come nel caso di un distacco del labbro glenoideo o di una frattura della glenoide.
Volume articolare limitato
L'articolazione gleno-omerale è ermeticamente chiusa dalla capsula articolare. All'interno di essa vi è una pressione leggermente negativa che mantiene uniti i capi articolari. Questo meccanismo di stabilità può essere compromesso se viene introdotta dell'aria nell'articolazione (artrografia) o in tutte quelle situazioni in cui è presente liquido libero nell'articolazione (versamenti articolari, emartro).






Cervicobrachialgia: sintomi, cause e terapia. .

La cervicobrachialgia è una patologia del sistema cervicale che causa dei forti dolori e fitte nella zona interessata; il dolore ha origine dal collo e si propaga attraverso i nervi del plesso brachiale che collegano il midollo spinale al braccio, fino ad arrivare alle dita delle mani.
La malattia può essere congenita o acquisita, può interessare tutte le fasce d’età, solitamente è accompagnata da disagi a livello psichico e si può curare con delle sedute mirate di fisioterapia o con rimedi naturali.
La cervicobrachialgia è stata categorizzata in base alla localizzazione del dolore:
Cervicobrachialgia C5: il dolore ha origine dal nervo che ha origine fra la vertebra C4 e la C5 e si manifesta nella zona del bicipite;
Cervicobrachialgia C6: il dolore si manifesta nel braccio, nell’avambraccio e arriva al pollice;
Cervicobrachialgia C7: il dolore si manifesta nella zona posteriore del braccio, nell’avambraccio e arriva al dito medio.
SINTOMATOLOGIA
La cervicobrachialgia tende a manifestarsi su un solo lato del corpo anche se i pazienti colpiti dalla patologia, in molti casi avvertono pesantezza in tutti gli arti. I sintomi più comuni sono:
- dolore localizzato, molto intenso e spesso insopportabile;
- formicolii;
- rigidità muscolare: difficoltà nei movimenti del collo, del braccio e della spalla;
- il paziente avverte la mano gonfia e fredda anche se in realtà non lo è;
– arti intorpiditi;
– debolezza articolare;
– disagi psichici dovuti dalla difficoltà nel compiere i più semplici gesti quotidiani e soprattutto nel dormire.
CURE
La patologia della cervicobrachialgia va analizzata minuziosamente in modo da individuarne la tipologia e la gravità in modo da intervenire con una cura mirata.
I rimedi previsti sono:
- l’assunzione di antidolorifici, anti-infiammatori, miorilassanti per contrastare il dolore;
– sedute di fisioterapia per contrastare il dolore e ripristinare il funzionamento dell'articolazione (terapia manuale e strumentale);
– sono consigliate delle docce calde o la borsa dell’acqua calda per ridurre i sintomi, rilassare le fibre muscolari e aumentare il drenaggio della circolazione linfatica e venosa;
– sedute di chiropratica per riequilibrare le vertebre cervicali sublussate e le varie inserzioni nervose;
– esercizi mirati alla rieducazione della postura e al rinforzo muscolare; 
– è sconsigliato il riposo prolungato;

Il ginocchio: anatomia e biomeccanica.

ANATOMIA: STRUTTURA OSSEA 
Il ginocchio è una grande articolazione dell'arto inferiore, formata da 3 ossa (femore, tibia e rotula), una capsula, quattro legamenti, due menischi e cartilagine.
La porzione distale del femore è costituita dalcondilo mediale e dal condilo laterale. I due condili sono rivestiti di cartilagine. Anteriormente i due condili formano una gola detta troclea femoraleche ha il compito di accogliere la rotula durante la flesso estensione del ginocchio. La porzione prossimale della tibia, nella sua parte articolare, viene chiamata piatto tibiale, ed è divisa in due emipiatti, rivestite di cartilagine che si articolano con i condili femorale, mediale e laterale.  I due emipiatti tibiali sono separati da due eminenze ossee, le spine tibiali anteriore e posteriore.La spina tibiaea è il punto di inserzione dellegamento crociato anteriore.  La rotula è il più grande osso sesamoide del corpo umano.  E’ in continuità prossimalmente con il tendine quaricipitale e si distalmente con il tendine rotuleo.  La sua superficie articolare ha una faccetta laterale ed una mediale rivestite di cartilagine che si articolano con la troclea femorale.
ANATOMIA: I MENISCHI 
Sul piatto tibiale interno ed esterno si sovrappongono i menischi. Sono due strutture  fibrocartilaginee che hanno la funzione di aumentare la congruenza tra le superfici articolari di tibia e femore articolare. Hanno una consistenza duro – elastica molto simile a quella dei dischi intervertebrali. Funzionano come uno spaziatore tra femore e piatto tibiale e contribuiscono a trasmettere il carico ed a stabilizzare l’articolazione insieme alla capsula ed ai legamenti.
Il menisco mediale ha una forma a C aperta, la parte periferica è adesca alla capsula articolare e nella parte posteriore alle fibre del muscolo semimembranoso. Questo muscolo agisce frazionandolo posteriormente il menisco  durante la flessione del ginocchio.  
Il menisco laterale ha una forma a C più chiusa ed un volume maggiore. Dati di laboratorio ci dicono che in un ginocchio normale l’80% del carico del compartimento esterno del ginocchio sono trasmesso dal femore alla tibia attraverso il menisco esterno. Per questo motivo la rimozione totale o parziale del menisco esterno espongono più facilmente a rischio di artrosi del ginocchio. ed è attaccato alla faccetta articolare laterale sulla porzione superiore della tibia. 
La parte posteriore del menisco esterno è attraversata dal piccolo tendine del muscolo popliteo. I due menischi sono uniti tra loro anteriormente dal legamento trasverso.  Ogni menisco può essere diviso in tre porzioni o zone circonferenziali: la zona rosso-rosso è il terzo esterno o periferico e ha un buon apporto vascolare, la zona rosso-bianco è il terzo centrale ed ha un minimo apporto di sangue, la zona bianco-bianco è il terzo interno e non è vascolarizzata.  
ANATOMIA: I LEGAMENTI 
Legamenti crociati
I legamenti crociati sono i maggiori responsabili della stabilità del ginocchio. Sono due bande legamentose che si incrociano all’interno della capsula articolare del ginocchio. Il legamento crociato anteriore (LCA) si inserisce sulla spina tibiale anteriore, quindi, passando all’indietro, si inserisce alla superficie interna del condilo femorale laterale. Il legamento crociato posteriore(LCP), il più robusto dei due, si inserisce sulla porzione posteriore del piatto tibiale e procede verso l’alto, in avanti e medialmente e si inserisce alla porzione anteriore della superficie laterale delcondilo femorale mediale.  Il legamento crociato anteriore è composto da tre fasci intrecciati: uno ateromediale, uno intermedio, ed uno posteriore. In generale, il legamento crociato anteriore impedisce al femore di traslare posteriormente durante il carico ed impedisce alla tibia di traslare anteriormente in assenza del carico.  Stabilizza anche la tibia contro l’eccessiva rotazione interna e funge da contenimento secondario per gli stress in valgo o varo. Il crociato anteriore inoltre coopera con i muscoli ischio crurali per aumentare la stabilità del ginocchio.  Il crociato posteriore contrasta la rotazione interna della tibia, impedisce l’iper estensione del ginocchio, limita traslazione anteriore del femore durante il carico e la traslazione posteriore della tibia fuori carico.
Capsula e legamenti collaterali
Una stabilizzazione aggiuntiva del ginocchio è fornita dalla capsula e dai legamenti collaterali. Oltre a dare stabilità definiscono il track di movimento del ginocchio. I legamenti collaterali si distinguono in mediale e laterale.
Legamento collaterale mediale
La porzione superficiale del legamento collaterale(LCM) è separata dalla porzione profonda (legamento capsulare) a livello della rima articolare. Si inserisce sull’epicondilo mediale del femore e appena sotto la zampa d’oca sulla tibia. Il suo compito principale è quello di contrastare i movimenti del ginocchio in valgo e le rotazioni esterne.
Legamento collaterale laterale e strutture correlate
La stabilità del compartimento laterale è garantita dal legamento collaterale laterale e da una serie di strutture accessorie.
Il legamento collaterale laterale ( LCL ) ha l’aspetto di un cordone fibroso delle dimensioni di una matita. Si inserisce all’ epicondilo laterale del femore prossimalmente ed alla testa del peronedistalmente. Il legamento collaterale laterale è teso durante l’estensione del ginocchio e si detende durante la flessione.
Il legamento arcuato è formato da un ispessimento della capsula articolare posteriore. La sua porzione posteriore si fonde alla fascia del muscolo popliteo ed al corno posteriore del menisco laterale.
Altre strutture che stabilizzano il ginocchio lateralmente sono la bandelletta ileotibiale , ilmuscolo popliteo ed il bicipite femorale.  La bandelletta ileotibiale è la continuazione distale della fascia lata che si inserisce sull’ala iliaca e contribuisce a contenere la muscolatura laterale della coscia. Distalmente si inserisce sul tubercolo laterale della tibia detto Tubercolo del Gerdy.  E’ in tensione si durante la flessione che durante l’estensione. Il muscolo popliteo stabilizza il ginocchio durante la flessione e, quando si contrae, protegge il menisco laterale trazionandolo posteriormente. Il bicipite femorale contribuisce a stabilizzare il ginocchio lateralmente, inserendosi sulla testa del perone e fondendo parte delle sue fibre distali con la bendelletta ileotibiale e con la capsula articolare.
ANATOMIA: LA CAPSULA ARTICOLARE
Le superfici articolari del ginocchio sono completamente avvolte dalla capsula articolare, che è la più grande del corpo umano. Anteriormente, la capsula articolare si estende verso l’alto andando circa 7 cm sotto la rotula delimitando lo sfondato sotto quadricipitale. La porzione inferiore contiene il corpo di Hoffa, un cuscinetto di tessuto adiposo interposto tra iltendine rotuleo e la tibia. Posteriormente, la capsula ricopre i condili femorali ed il piatto tibiale.  La capsula postero medialmente ha un ispessimento che costituisce il legamento obliquo posteriore e lateralmente il legamento arcuato.  La capsula articolare è divisa in quattroregioni:postero-laterale , postero-mediale , antero-laterale e antero-mediale.  Ciascuno di questi quattro “angoli” della capsula è rafforzato da altre strutture anatomiche . L’angolo postero-laterale è rafforzato dalla bandelletta iliotibiale, dal popliteo , dalbicipite femorale, dal LCL e dal legamento arcuato. Il LCM, la zampa d’oca, il semimembranoso e la parte posteriore del legamento obliquo rafforzano l’angolo postero-mediale.  L’angolo antero-laterale è rafforzato dalla bandelleta ileotibiale, dal tendine rotuleo e dal retinacolo laterale.  La porzione superficiale del LCM ed il retinacolo anteromedialerafforzano l’angolo antero-mediale.  La membrana sinoviale riveste la superficie interna della capsula articolare, tranne posteriormente, dove passa anteriormente ai legamenti crociati, rendendoli extra sinoviali.
ANATOMIA: MUSCOLATURA 
Affinchè il ginocchio possa effettuare tutti i movimenti correttamente, molti muscoli devono lavorare rispettando un complesso sincronismo. Il seguente è un elenco dei movimenti del ginocchio e dei muscoli che rendono possibili tali movimenti
Flessione del ginocchio: bicipite femorale, semitendinoso, semimembranoso, gracile, sartorio, gastrocnemio, popliteo.
Estensione del ginocchio: quadricipite femorale , costituito da tre vasti: il vasto mediale, vasto laterale e vasto intermedio e dal retto femorale.
Rotazione esterna della tibia: è controllata dal bicipite femorale. L’anatomia ossea stessa porta la tibia in rotazione esterna durante l’estensione.
Rotazione interna: popliteo, semitendinoso, semimembranoso, sartorio e gracile. La rotazione della tibia è vincolata e può avvenire solo quando il ginocchio è in flessione.
La bandeletta ileotibiale: principalmente funge da stabilizzatore laterale dinamico.

BIOMECCANICA DEL GINOCCHIO 
Iperestensione
In stazione eretta con piede appoggiato al suolo come punto fisso, i muscoli ischio-crurali ed iltricipite surale cambiano la loro azione e da flessori del ginocchio ne diventano estensori. All'azione partecipano il quadricipite e l'adduttore grande. Quando il piede è punto fisso, come nell'atto di alzarsi in stazione eretta da seduti o durante la fase di appoggio nella deambulazione, i quattro gruppi muscolari divengono coagonisti per l'estensione del ginocchio. Avendo però una linea di forza favorevolmente orientata, l'azione è svolta soprattutto dalla coppia ischiocrurali-tricipite surale. Il disassiamento articolare dell'articolazione del ginocchio, determina alterazioni anche alle articolazioni dell'anca e della tibiotarsica, rilevabili attraverso lo studio del comportamento delle forze G ed R. In particolare, la forza complessiva del tronco applicata all'articolazione dell'anca, non potrà distribuirsi sull'intero femore, in quanto questo risulta in estensione. Di conseguenza, le forze G ed R saranno addensate all'interno dellacavità acetabolare determinando potenziali conflitti meccanici. Momenti di forza a-fisiologici potranno determinarsi anche a livello dell'articolazione del ginocchio e della tibio tarsica
Intrarotazione 
Sotto carico, i vettori dominanti sono quelli disemitendinoso e semimembranoso, in associazione con gli adduttori femorali con componente intrarotatoria. 
Flessione 
L'azione iperestensiva della coppia ischiocrurali-polpacci è limitata dall'articolazione femoro-tibiale. Raggiunto questo limite, se l'accorciamento dei due gruppi muscolari progredisce, la linea di forza risultante finale determina la flessione del ginocchio. Nel caso in cui l'accorciamento della coppia ischiocrurali-tricipite surale, sia tale da portare il ginocchio dall'iperestensione alla flessione, i due gruppi muscolari tornano ad essere estensori del ginocchio. In questo caso, però, le loro componenti vettoriali verticali agiranno ad un'intesità tale da impedire l'estensione stessa. La sommatoria delle componenti vettoriali verticali, non renderà possibile, in stazione eretta, stendere il ginocchio ma, in collaborazione col quadricipite, si opporrà alla caduta al suolo. Tale azione richiederà un grande dispendio energetico con conseguente irrigidimento articolare. 

FONTE: "Biomeccanica muscolo-scheletrica e metodica Mézières" Autore: dott. Mauro Lastrico Marrapese Editore

martedì 25 ottobre 2016

La sindrome del tunnel carpale.

La sindrome del tunnel carpale nasce se il nervo mediano, che si estende dall'avambraccio alla mano, è sottoposto a pressione o schiacciamento all'altezza del polso. Il nervo mediano controlla le sensazioni del lato palmare del pollice e delle dita (non del mignolo) come pure gli impulsi diretti verso alcuni piccoli muscoli della mano, che permettono alle dita e al pollice di muoversi.
Il tunnel carpale, un passaggio stretto e rigido costituito dal legamento e dalle ossa alla base della mano, ospita il nervo mediano e i tendini. A volte l’ingrossamento dei tendini o altri gonfiori restringono il tunnel e fanno sì che il nervo mediano risulti compresso.
I risultati sono dolore, debolezza o sensazione di intorpidimento alla mano e al polso, che si irradiano verso il braccio. Sebbene gli stati dolorosi possano indicare altre patologie, la sindrome del tunnel carpale è la più conosciuta e famosa delle neuropatie, ovvero delle patologie in cui i nervi periferici del corpo umano vengono compressi o subiscono traumi.

CAUSE

La sindrome del tunnel carpale spesso è il risultato di una combinazione di fattori che aumentano la pressione sul nervo mediano e sui tendini del tunnel carpale, e non un problema con il nervo in sé.
Molto probabilmente il disturbo è congenito: molto semplicemente il tunnel carpale in certe persone è più piccolo che in altre. Altri fattori scatenanti sono poi i traumi o le ferite al polso che causano gonfiore (come le distorsioni o le fratture), l’iperattività dell’ipofisi, l’ipotiroidismo, l’artrite reumatoide, i problemi di natura meccanica al legamento del polso, lo stress lavorativo, l’uso manuale ripetuto di strumenti che producono vibrazioni, la ritenzione idrica durante la gravidanza o la menopausa oppure lo sviluppo di una ciste o di un tumore all’interno del canale.
In alcuni casi non è possibile individuare una causa.
Gli studi clinici hanno prodotto poca evidenza sperimentale: per ora non si sa con sicurezza se i movimenti ripetitivi e forzati della mano e del polso durante il lavoro o le attività di svago possano causare la sindrome del tunnel carpale. Compiere movimenti ripetitivi nel corso della normale attività lavorativa o durante altre attività quotidiane può causare disturbi dei movimenti articolari, come le borsiti e le tendiniti. Il crampo dello scrivano, una condizione in cui un’attività ripetitiva scatena una perdita di coordinazione motoria specifica nonché dolore e compressione nelle mani, nel polso e nell’avambraccio, non è un sintomo della sindrome del tunnel carpale.


SINTOMI

I sintomi di solito si manifestano con gradualità, con frequenti bruciori, formicolio o sensazioni di addormentamento misto a prurito al palmo della mano e alle dita, specialmente al pollice, all’indice e al medio.
Alcune persone affette da questa sindrome affermano di sentire le dita inutilizzabili e gonfie, anche se il gonfiore non c’è oppure è solo accennato. Spesso i sintomi appaiono per la prima volta in una o in entrambe le mani durante la notte, poiché molte persone dormono con i polsi piegati. Chi è affetto dalla sindrome del tunnel carpale quando si risveglia può provare la necessità di “rilassare” la mano o il polso.
Quando i sintomi peggiorano è possibile avvertire un fastidioso formicolio durante il giorno. Il fatto che la forza per esercitare la presa diminuisca potrebbe rendere difficile stringere le mani a pugno, afferrare piccoli oggetti o svolgere altre attività che implicano l’uso delle mani.
Nei casi cronici o non adeguatamente curati i muscoli alla base del pollice possono risultare compromessi per sempre. Alcune persone riferiscono di non essere in grado di distinguere al tatto tra caldo e freddo.

SOGGETTI A RISCHIO

Le donne sono tre volte più a rischio degli uomini di sviluppare la sindrome del tunnel carpale, forse perché il loro canale può essere più piccolo rispetto a quello degli uomini.
La mano dominante di solito viene colpita per prima e accusa il dolore più intenso.
Sono anche altamente a rischio le persone affette da diabete o da altri disturbi del metabolismo che colpiscono direttamente i nervi e li rendono più suscettibili di compressione.
La sindrome del tunnel carpale di solito colpisce soltanto gli adulti.
Il rischio di sviluppare la sindrome del tunnel carpale non è limitato a persone che hanno un’occupazione in un settore specifico, ma è comune specialmente in coloro che lavorano alla catena di montaggio: operai manifatturieri, cucitori, finitori, donne delle pulizie e operai che si occupano del confezionamento di carne, pollame o pesce. Nei fatti, la sindrome del tunnel carpale è tre volte più comune tra gli operai addetti all’assemblaggio che tra il personale impiegatizio che si occupa dell’inserimento dati. Nel 2001 un’indagine condotta dalla Clinica Mayo, un famoso ospedale statunitense, ha rivelato che l’uso protratto del computer (fino a 7 ore al giorno) non aumenta il rischio di sviluppare la sindrome del tunnel carpale per il mouse.
È stato inoltre stimato che, nel 1998, circa 10.000 lavoratori si sono dovuti assentare dal lavoro a causa della sindrome del tunnel carpale. Metà di essi ha perso più di 10 giorni di lavoro. Il costo medio della sindrome del tunnel carpale, calcolato per l’intera vita del lavoratore, comprese le spese mediche e il tempo sottratto all’attività lavorativa, si aggira negli Stati Uniti intorno ai 30.000 dollari (circa 24.000 euro) per ogni lavoratore che ne viene colpito.


DIAGNOSI

La diagnosi e la cura precoci sono importanti per evitare danni permanenti al nervo mediano. Un esame fisico di mani, braccia, spalle e collo può contribuire a diagnosticare se i sintomi lamentati dal paziente sono collegati alle attività quotidiane o a un disturbo sottostante e possono escludere altri stati dolorosi che in qualche modo assomigliano alla sindrome del tunnel carpale.
Il polso è esaminato per quanto concerne la dolorabilità, il gonfiore, il calore e lo scoloramento radiografico. Occorre sottoporre a controlli la sensibilità di ciascun dito, e i muscoli alla base della mano dovrebbero essere esaminati con particolare attenzione riguardo alla forza e ai segni di atrofia. Normali esami di laboratorio e radiografie possono portare alla luce la presenza di diabete, artrite e fratture.
I medici possono poi avvalersi di test specifici nel tentativo di riprodurre i sintomi della sindrome del tunnel carpale.
Nel test di Tinel, il medico batte leggermente o esercita pressione sul nervo mediano nel polso del paziente. Il test risulta positivo quando si verifica un formicolio nelle dita o una sensazione simile a una scossa.
Nel test di Phalen, o della flessione del polso, il paziente avvicina le mani dal lato del dorso, puntando le dita verso il basso e premendo i dorsi delle mani l’uno contro l’altro. La presenza della sindrome del tunnel carpale risulta evidente se uno o più sintomi, come il formicolio o l’intorpidimento crescente, vengono avvertiti nelle dita entro un minuto. I medici potrebbero anche chiedere ai pazienti di provare a fare un movimento che scatena i sintomi.
Spesso è necessario confermare la diagnosi usando test elettrodiagnostici. Quando si effettua un esame sulla conduttività elettrica dei nervi, vengono collocati elettrodi sulla mano e sul polso. Vengono poi applicate piccole scosse elettriche per misurare la velocità con cui i nervi trasmettono gli impulsi. Con l’elettromiografia, invece, viene inserito un piccolo ago-elettrodo nel muscolo: l’attività elettrica visualizzata sullo schermo può diagnosticare la gravità del danno al nervo mediano. L’analisi a ultrasuoni può visualizzare l’indebolimento dei movimenti del nervo mediano. L’imaging a risonanza magnetica (MRI) può visualizzare l’anatomia del polso ma, allo stato attuale, non è particolarmente utile nella diagnosi della sindrome del tunnel carpale.

CURE E TERAPIE

Le cure per la sindrome del tunnel carpale dovrebbero iniziare il prima possibile, sotto la supervisione di un medico.
Le cause scatenanti, come il diabete o l’artrite, dovrebbero essere curate per prime. La cura iniziale di solito comporta il riposo della mano e del polso ammalato per almeno due settimane: occorre evitare tutte le attività che potrebbero peggiorare i sintomi e steccare il polso per evitare ulteriori danni che potrebbero essere scatenati da torsioni o flessioni inopportune. Se la zona è infiammata, l’applicazione di impacchi ghiacciati può contribuire a ridurre il gonfiore.

FARMACI

In alcune circostanze farmaci di diversa natura possono alleviare il dolore ed il gonfiore associati alla sindrome del tunnel carpale. I farmaci antinfiammatori non steroidei, come ad esempio l’aspirina, l’ibuprofene (Moment, Nurofen, Antalgil, Buscofen, …) e altri analgesici senza obbligo di ricetta, possono alleviare i sintomi presenti da poco tempo o causati da un’attività molto intensa.
I diuretici somministrati per via orale possono diminuire il gonfiore.
I corticosteroidi (cortisone), con la lidocaina (un anestetico locale), può essere iniettato direttamente nel polso oppure assunto per via orale per alleviare la compressione del nervo mediano e dare sollievo immediato e temporaneo alle persone che accusano sintomi intermittenti o di lieve entità. (Attenzione: le persone che soffrono di diabete e i pazienti che hanno una predisposizione al diabete dovrebbero notare che l’uso dei corticosteroidi può rendere difficile la regolazione dei livelli di insulina. I corticosteroidi non dovrebbero essere assunti senza prescrizione medica.)
Alcune ricerche infine hanno evidenziato che una maggiore assunzione di vitamina B6 (piridossina, per esempio Benadon compresse) può alleviare i sintomi della sindrome del tunnel carpale.


ESERCIZI FISICI

Gli esercizi di stretching e di rafforzamento possono essere utili per le persone con sintomi di modesta entità. Questi esercizi devono essere svolti sotto la supervisione di un fisioterapista o di un professionista sanitario riabilitativo, capace di usare gli esercizi per la cura delle menomazioni fisiche, o di un esperto di medicina del lavoro, in grado di valutare i pazienti con menomazioni fisiche e aiutarli a migliorare la salute e il benessere.