Nel best-seller di Brenda Watson le ricerche d’avanguardia sul ruolo della flora batterica e sugli errori delle diete
Pensate che per mantenere la linea basti tenere sotto controllo le calorie e fare attività fisica? Sono senz’altro misure indispensabili, ma ora emergono nuovi fattori di rischio per l’obesità: i chili di troppo dipendono per gran parte dalla composizione della flora batterica intestinale.
Possediamo 100 mila miliardi di batteri - che favoriscono l’assorbimento dei nutrienti - e tra questi vi sono alcuni molto abili a trasferire grassi e zuccheri, mentre altri meno. Ciascuno di noi possiede una concentrazione diversa degli uni e degli altri: insieme formano il «filtro» che dai villi determina quali molecole assimileremo più facilmente. Brenda Watson, nutrizionista statunitense, va oltre stereotipi e false credenze: «Il motivo per cui le diete falliscono non c’entra nulla con le calorie. Per dimagrire o mantenere un normopeso dobbiamo educare la microflora intestinale».
Ma come fare per alimentare i batteri «buoni», che non assorbono grassi, e diminuire la concentrazione di quelli «cattivi», che ne favoriscono l’accumulo? Watson - con il gastroenterologo dell’Università di Miami Leonard Smith - lo spiega in «Dimagrisci per sempre aiutando il tuo intestino», appena tradotto in Italia da Newton Compton dall’originale che negli Usa, dove il problema dell’obesità è sempre più serio, è diventato un caso letterario, oltre che scientifico.
Se è noto da tempo che il funzionamento della stessa flora batterica influisce su pressione arteriosa, malattie cardiache, diabete, allergie e malattie autoimmuni, nel caso specifico dell’obesità - spiegano Watson e Smith - la correlazione è dimostrata da un esperimento: già nel 2013 i ricercatori della Washington University School of Medicine di St. Louis avevano coltivato i batteri della flora intestinale di un topo grasso nell’intestino di un topo molto magro. Risultato: ad assoluta parità di alimentazione il topo magro è sensibilmente ingrassato. L’esperimento, clamoroso, è stato poi pubblicato su «Science». Da allora i nutrizionisti americani hanno cominciato a verificare se quello che accadeva nella cavia valesse anche per l’uomo.
«La platea dei miei pazienti - riporta Watson - è formata soprattutto da persone che, pur impegnandosi in rigorose diete, non riescono a perdere peso in modo definitivo. Agendo, però, sulla trasformazione della flora batterica intestinale siamo riusciti a risolvere i problemi di obesità e salute di centinaia di pazienti». Come? Partendo da quelli che si chiamano «firmicutes» e «bacteroidetes». Sono loro i microbi che possono fare la differenza nell’assorbimento intestinale: mentre i primi trasportano molto facilmente grassi e glucosio, i secondi sono molto meno capaci.
Ma se questa è la teoria come si passa alla pratica? Come si implementano i «bacteroidetes» a scapito dei «firmicutes»? Con integratori, probiotici o farmaci? La risposta della nutrizionista è diretta: «Ovviamente è più facile intervenire con la dieta». E nel suo volume propone diverse soluzioni, a partire da menù ricchi di cibi che contengono già batteri «benefici» oppure i loro nutrimenti, che servono quindi ad alimentare e moltiplicarne la popolazione. Oltre all’assunzione di fermenti lattici la nutrizionista propone piatti a base di carboidrati ad alto contenuto di fibre e basso indice glicemico: pasta rigorosamente integrale, legumi, frutta e verdura, yogurt. Vietati, quindi, i cibi raffinati, vale a dire derivati da una lunga lavorazione industriale che ne impoverisce il contenuto di minerali e proteine presenti nelle materie prime di partenza.
Lo zucchero bianco, per esempio, è uno di questi alimenti «off limits». Ma ci sono diverse alternative: dallo sciroppo di riso al succo concentrato di mela o di uva e, ancora, lo sciroppo d’acero o d’agave. Vietata anche la farina 00, tra i prodotti più raffinati, con i quali prepariamo di tutto, dalla pasta alle torte. Questo tipo di farina è privata del germe contenuto nel chicco di grano, ricco di aminoacidi, sali minerali e vitamine del gruppo B ed E. Dunque è meglio preferire la farina integrale.
Spazio anche ai grassi, ma quelli «buoni»: gli omega-3 e gli acidi grassi insaturi, contenuti in avocado, olive, frutta secca, noci, burro di noci naturali, pesci come salmone e perfino il cocco. Di sicuro ci vuole pazienza per cambiare davvero regime alimentare, ma poi la forza di volontà diventa un’abitudine automatica. «Più ci alimentiamo meglio - spiega Watson - e meno avvertiamo il desiderio di cibi “sbagliati” ed evitiamo episodi di fame nervosa: sono infatti i prodotti raffinati, zucchero e grassi insaturi, di origine animale, ad alimentare i “firmicutes”, i quali, a loro volta, moltiplicandosi, richiedono all’organismo gli stessi prodotti. E instaurano, così, un ciclo nocivo che porta all’obesità».
Conclusione: «Se invece li affamiamo, alimentandoci con nutrienti di cui questi batteri non si cibano, l’intestino si arricchisce di “bacteroidetes”». E il peso comincia a calare.
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