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martedì 25 ottobre 2016

La sindrome del tunnel carpale.

La sindrome del tunnel carpale nasce se il nervo mediano, che si estende dall'avambraccio alla mano, è sottoposto a pressione o schiacciamento all'altezza del polso. Il nervo mediano controlla le sensazioni del lato palmare del pollice e delle dita (non del mignolo) come pure gli impulsi diretti verso alcuni piccoli muscoli della mano, che permettono alle dita e al pollice di muoversi.
Il tunnel carpale, un passaggio stretto e rigido costituito dal legamento e dalle ossa alla base della mano, ospita il nervo mediano e i tendini. A volte l’ingrossamento dei tendini o altri gonfiori restringono il tunnel e fanno sì che il nervo mediano risulti compresso.
I risultati sono dolore, debolezza o sensazione di intorpidimento alla mano e al polso, che si irradiano verso il braccio. Sebbene gli stati dolorosi possano indicare altre patologie, la sindrome del tunnel carpale è la più conosciuta e famosa delle neuropatie, ovvero delle patologie in cui i nervi periferici del corpo umano vengono compressi o subiscono traumi.

CAUSE

La sindrome del tunnel carpale spesso è il risultato di una combinazione di fattori che aumentano la pressione sul nervo mediano e sui tendini del tunnel carpale, e non un problema con il nervo in sé.
Molto probabilmente il disturbo è congenito: molto semplicemente il tunnel carpale in certe persone è più piccolo che in altre. Altri fattori scatenanti sono poi i traumi o le ferite al polso che causano gonfiore (come le distorsioni o le fratture), l’iperattività dell’ipofisi, l’ipotiroidismo, l’artrite reumatoide, i problemi di natura meccanica al legamento del polso, lo stress lavorativo, l’uso manuale ripetuto di strumenti che producono vibrazioni, la ritenzione idrica durante la gravidanza o la menopausa oppure lo sviluppo di una ciste o di un tumore all’interno del canale.
In alcuni casi non è possibile individuare una causa.
Gli studi clinici hanno prodotto poca evidenza sperimentale: per ora non si sa con sicurezza se i movimenti ripetitivi e forzati della mano e del polso durante il lavoro o le attività di svago possano causare la sindrome del tunnel carpale. Compiere movimenti ripetitivi nel corso della normale attività lavorativa o durante altre attività quotidiane può causare disturbi dei movimenti articolari, come le borsiti e le tendiniti. Il crampo dello scrivano, una condizione in cui un’attività ripetitiva scatena una perdita di coordinazione motoria specifica nonché dolore e compressione nelle mani, nel polso e nell’avambraccio, non è un sintomo della sindrome del tunnel carpale.


SINTOMI

I sintomi di solito si manifestano con gradualità, con frequenti bruciori, formicolio o sensazioni di addormentamento misto a prurito al palmo della mano e alle dita, specialmente al pollice, all’indice e al medio.
Alcune persone affette da questa sindrome affermano di sentire le dita inutilizzabili e gonfie, anche se il gonfiore non c’è oppure è solo accennato. Spesso i sintomi appaiono per la prima volta in una o in entrambe le mani durante la notte, poiché molte persone dormono con i polsi piegati. Chi è affetto dalla sindrome del tunnel carpale quando si risveglia può provare la necessità di “rilassare” la mano o il polso.
Quando i sintomi peggiorano è possibile avvertire un fastidioso formicolio durante il giorno. Il fatto che la forza per esercitare la presa diminuisca potrebbe rendere difficile stringere le mani a pugno, afferrare piccoli oggetti o svolgere altre attività che implicano l’uso delle mani.
Nei casi cronici o non adeguatamente curati i muscoli alla base del pollice possono risultare compromessi per sempre. Alcune persone riferiscono di non essere in grado di distinguere al tatto tra caldo e freddo.

SOGGETTI A RISCHIO

Le donne sono tre volte più a rischio degli uomini di sviluppare la sindrome del tunnel carpale, forse perché il loro canale può essere più piccolo rispetto a quello degli uomini.
La mano dominante di solito viene colpita per prima e accusa il dolore più intenso.
Sono anche altamente a rischio le persone affette da diabete o da altri disturbi del metabolismo che colpiscono direttamente i nervi e li rendono più suscettibili di compressione.
La sindrome del tunnel carpale di solito colpisce soltanto gli adulti.
Il rischio di sviluppare la sindrome del tunnel carpale non è limitato a persone che hanno un’occupazione in un settore specifico, ma è comune specialmente in coloro che lavorano alla catena di montaggio: operai manifatturieri, cucitori, finitori, donne delle pulizie e operai che si occupano del confezionamento di carne, pollame o pesce. Nei fatti, la sindrome del tunnel carpale è tre volte più comune tra gli operai addetti all’assemblaggio che tra il personale impiegatizio che si occupa dell’inserimento dati. Nel 2001 un’indagine condotta dalla Clinica Mayo, un famoso ospedale statunitense, ha rivelato che l’uso protratto del computer (fino a 7 ore al giorno) non aumenta il rischio di sviluppare la sindrome del tunnel carpale per il mouse.
È stato inoltre stimato che, nel 1998, circa 10.000 lavoratori si sono dovuti assentare dal lavoro a causa della sindrome del tunnel carpale. Metà di essi ha perso più di 10 giorni di lavoro. Il costo medio della sindrome del tunnel carpale, calcolato per l’intera vita del lavoratore, comprese le spese mediche e il tempo sottratto all’attività lavorativa, si aggira negli Stati Uniti intorno ai 30.000 dollari (circa 24.000 euro) per ogni lavoratore che ne viene colpito.


DIAGNOSI

La diagnosi e la cura precoci sono importanti per evitare danni permanenti al nervo mediano. Un esame fisico di mani, braccia, spalle e collo può contribuire a diagnosticare se i sintomi lamentati dal paziente sono collegati alle attività quotidiane o a un disturbo sottostante e possono escludere altri stati dolorosi che in qualche modo assomigliano alla sindrome del tunnel carpale.
Il polso è esaminato per quanto concerne la dolorabilità, il gonfiore, il calore e lo scoloramento radiografico. Occorre sottoporre a controlli la sensibilità di ciascun dito, e i muscoli alla base della mano dovrebbero essere esaminati con particolare attenzione riguardo alla forza e ai segni di atrofia. Normali esami di laboratorio e radiografie possono portare alla luce la presenza di diabete, artrite e fratture.
I medici possono poi avvalersi di test specifici nel tentativo di riprodurre i sintomi della sindrome del tunnel carpale.
Nel test di Tinel, il medico batte leggermente o esercita pressione sul nervo mediano nel polso del paziente. Il test risulta positivo quando si verifica un formicolio nelle dita o una sensazione simile a una scossa.
Nel test di Phalen, o della flessione del polso, il paziente avvicina le mani dal lato del dorso, puntando le dita verso il basso e premendo i dorsi delle mani l’uno contro l’altro. La presenza della sindrome del tunnel carpale risulta evidente se uno o più sintomi, come il formicolio o l’intorpidimento crescente, vengono avvertiti nelle dita entro un minuto. I medici potrebbero anche chiedere ai pazienti di provare a fare un movimento che scatena i sintomi.
Spesso è necessario confermare la diagnosi usando test elettrodiagnostici. Quando si effettua un esame sulla conduttività elettrica dei nervi, vengono collocati elettrodi sulla mano e sul polso. Vengono poi applicate piccole scosse elettriche per misurare la velocità con cui i nervi trasmettono gli impulsi. Con l’elettromiografia, invece, viene inserito un piccolo ago-elettrodo nel muscolo: l’attività elettrica visualizzata sullo schermo può diagnosticare la gravità del danno al nervo mediano. L’analisi a ultrasuoni può visualizzare l’indebolimento dei movimenti del nervo mediano. L’imaging a risonanza magnetica (MRI) può visualizzare l’anatomia del polso ma, allo stato attuale, non è particolarmente utile nella diagnosi della sindrome del tunnel carpale.

CURE E TERAPIE

Le cure per la sindrome del tunnel carpale dovrebbero iniziare il prima possibile, sotto la supervisione di un medico.
Le cause scatenanti, come il diabete o l’artrite, dovrebbero essere curate per prime. La cura iniziale di solito comporta il riposo della mano e del polso ammalato per almeno due settimane: occorre evitare tutte le attività che potrebbero peggiorare i sintomi e steccare il polso per evitare ulteriori danni che potrebbero essere scatenati da torsioni o flessioni inopportune. Se la zona è infiammata, l’applicazione di impacchi ghiacciati può contribuire a ridurre il gonfiore.

FARMACI

In alcune circostanze farmaci di diversa natura possono alleviare il dolore ed il gonfiore associati alla sindrome del tunnel carpale. I farmaci antinfiammatori non steroidei, come ad esempio l’aspirina, l’ibuprofene (Moment, Nurofen, Antalgil, Buscofen, …) e altri analgesici senza obbligo di ricetta, possono alleviare i sintomi presenti da poco tempo o causati da un’attività molto intensa.
I diuretici somministrati per via orale possono diminuire il gonfiore.
I corticosteroidi (cortisone), con la lidocaina (un anestetico locale), può essere iniettato direttamente nel polso oppure assunto per via orale per alleviare la compressione del nervo mediano e dare sollievo immediato e temporaneo alle persone che accusano sintomi intermittenti o di lieve entità. (Attenzione: le persone che soffrono di diabete e i pazienti che hanno una predisposizione al diabete dovrebbero notare che l’uso dei corticosteroidi può rendere difficile la regolazione dei livelli di insulina. I corticosteroidi non dovrebbero essere assunti senza prescrizione medica.)
Alcune ricerche infine hanno evidenziato che una maggiore assunzione di vitamina B6 (piridossina, per esempio Benadon compresse) può alleviare i sintomi della sindrome del tunnel carpale.


ESERCIZI FISICI

Gli esercizi di stretching e di rafforzamento possono essere utili per le persone con sintomi di modesta entità. Questi esercizi devono essere svolti sotto la supervisione di un fisioterapista o di un professionista sanitario riabilitativo, capace di usare gli esercizi per la cura delle menomazioni fisiche, o di un esperto di medicina del lavoro, in grado di valutare i pazienti con menomazioni fisiche e aiutarli a migliorare la salute e il benessere.





Ionoforesi: ecco la polarità dei medicinali più utilizzati. (PER PROFESSIONISTI SANITARI)


Acetilsalicilato di lisina – (negativo - nero)
Alfachimotripsina soluz. all'1‰ + (positivo - rosso)
Algolisina – (negativo - nero)
Artrosilene – (negativo - nero)
Aspegic – (negativo - nero)
Axer alfa forte – (negativo - nero)
Baclofene + (positivo - rosso)
Benzidamina cloridrato + - ( Bipolare )
Benzidamina soluz. al 5% + (positivo - rosso)
Bicloridato di istamina soluz. allo 0.2‰ + (positivo - rosso)
Carbaina soluz. al 5% + (positivo - rosso)
Carbocaina + (positivo - rosso)
Celestone – (negativo - nero)
Citrato di potassio soluz. all’ 1‰ + (positivo - rosso)
Cloruro di Calcio + (positivo - rosso)
Cloruro di calcio soluz. al 2% + (positivo - rosso)
Cloruro di Magnesio + (positivo - rosso)
Cloruro di sodio soluz. al 2% – (negativo - nero)
Dantrolene + (positivo - rosso)
Diclofenac sodico – (negativo - nero)
Dicloreum – (negativo - nero)
Dolmen – (negativo - nero)
Fastum – (negativo - nero)
Feldene – (negativo - nero)
Fenilbutazone + (positivo - rosso)
Flectadol – (negativo - nero)
Flexen – (negativo - nero)
Flogogin – (negativo - nero)
Flumetasone – (negativo - nero)
Glicole salicilato + (positivo - rosso)
Idrocortisone + (positivo - rosso)
Indometacina sale di glumina – (negativo - nero)
Ioduro di Potassio – (negativo - nero)
Isoptin (Verapamil) + (positivo - rosso)
Ketoprofene – (negativo - nero)
Korff e Giorni (Korff) – (negativo - nero)
Lasonil – (negativo - nero)
Lateroif F1 (Crinos) – (negativo - nero)
Lidocaina + (positivo - rosso)
Lierac (Vichy) – (negativo - nero)
Liometacen – (negativo - nero)
Lyseen + (positivo - rosso)
Mepivacaina + (positivo - rosso)
Metile nicotinato + (positivo - rosso)
Muscoril + (positivo - rosso)
Naprosjn – (negativo - nero)
Novocaina + (positivo - rosso)
Orudis – (negativo - nero)
Pentosano polifosfoestere – (negativo - nero)
Pridinolo mesilato + (positivo - rosso)
Procaina + (positivo - rosso)
Reparil – (negativo - nero)
Rexalgan – (negativo - nero)
Riacen – (negativo - nero)
Rilastil intensive cell – (negativo - nero)
Roxenil – (negativo - nero)
Roxiden – (negativo - nero)
Salicilato di Sodio – (negativo - nero)
Somatoline (Manetti & Roberts) – (negativo - nero)
Sulfopoliglicano + (positivo - rosso)
Tantum – (negativo - nero)
Thiomucase – (negativo - nero)
Tilcotil – (negativo - nero)
Tiochilcoside + (positivo - rosso)
Tioscina – (negativo - nero)
Verapamil ( Isoptin ) + (positivo - rosso)
Vitamina B1 e B2 + (positivo - rosso)
Voltaren – (negativo - nero)
Xenar – (negativo - nero)

Artrosi e Artrite: ecco le differenze.

L‘artrosi, a differenza dell’artrite, non è una malattia infiammatoria, ma una forma degenerativa cronica. Colpisce soprattutto le persone più avanti con gli anni perché è connessa all’usura delle articolazioni. Le strutture articolari più frequentemente colpite sono quelle maggiormente sollecitate dal peso e dall’attività, tra cui ginocchia, anche, spalle, mani, piedi e colonna vertebrale. Con il processo degenerativo dell’artrosi si assiste a un assottigliamento della cartilagine articolare e in seguito a deformità ossee che causano il dolore e i sintomi specifici dell’artrosi, particolarmente evidenti a livello delle falangi distali delle mani, per esempio.


L’artrite si manifesta con l’infiammazione articolare caratterizzata da gonfiore, tumefazione, arrossamento, rigidità, aumento della temperatura nell’area colpita e dolori che comportano anche la perdita della capacità motoria delle articolazioni interessate. Le forme più severe possono deformare le articolazioni, compromettendo la capacità di svolgere anche i più semplici compiti quotidiani. Possono esserne colpite persone di ogni età e con il passare degli anni l’infiammazione tende a peggiorare se non riconosciuta e curata adeguatamente. Esistono diversi tipi di artrite, tra cui l’artrite reumatoide (anche nella forma giovanile), la gotta, e l’artrite nell’ambito di malattie del connettivo quali il lupus eritematoso sistemico.

Cervicobrachialgia: sintomi, cause e terapia.

La cervicobrachialgia è una patologia del sistema cervicale che causa dei forti dolori e fitte nella zona interessata; il dolore ha origine dal collo e si propaga attraverso i nervi del plesso brachiale che collegano il midollo spinale al braccio, fino ad arrivare alle dita delle mani.

La malattia può essere congenita o acquisita, può interessare tutte le fasce d’età, solitamente è accompagnata da disagi a livello psichico e si può curare con delle sedute mirate di fisioterapia o con rimedi naturali.

La cervicobrachialgia è stata categorizzata in base alla localizzazione del dolore:

- Cervicobrachialgia C5: il dolore ha origine dal nervo che ha origine fra la vertebra C4 e la C5 e si manifesta nella zona del bicipite;

- Cervicobrachialgia C6: il dolore si manifesta nel braccio, nell’avambraccio e arriva al pollice;

- Cervicobrachialgia C7: il dolore si manifesta nella zona posteriore del braccio, nell’avambraccio e arriva al dito medio.

SINTOMATOLOGIA

La cervicobrachialgia tende a manifestarsi su un solo lato del corpo anche se i pazienti colpiti dalla patologia, in molti casi avvertono pesantezza in tutti gli arti. 

I sintomi più comuni sono:

- dolore localizzato, molto intenso e spesso insopportabile;

- formicolii;

- rigidità muscolare: difficoltà nei movimenti del collo, del braccio e della spalla;

- il paziente avverte la mano gonfia e fredda anche se in realtà non lo è;

- arti intorpiditi;

- debolezza articolare;

- disagi psichici dovuti dalla difficoltà nel compiere i più semplici gesti quotidiani e soprattutto nel dormire.


CURE

La patologia della cervicobrachialgia va analizzata minuziosamente in modo da individuarne la tipologia e la gravità in modo da intervenire con una cura mirata.

I rimedi previsti sono:

- l’assunzione di antidolorifici, anti-infiammatori, miorilassanti per contrastare il dolore;

- sedute di fisioterapia per contrastare il dolore e ripristinare il funzionamento dell'articolazione (terapia manuale e strumentale);

- sono consigliate delle docce calde o la borsa dell’acqua calda per ridurre i sintomi, rilassare le fibre muscolari e aumentare il drenaggio della circolazione linfatica e venosa;

-  sedute di chiropratica per riequilibrare le vertebre cervicali sublussate e le varie inserzioni nervose;

-  esercizi mirati alla rieducazione della postura e al rinforzo muscolare; 

- è sconsigliato il riposo prolungato;

Cervicobrachialgia: sintomi, cause e terapia.

La cervicobrachialgia è una patologia del sistema cervicale che causa dei forti dolori e fitte nella zona interessata; il dolore ha origine dal collo e si propaga attraverso i nervi del plesso brachiale che collegano il midollo spinale al braccio, fino ad arrivare alle dita delle mani.

La malattia può essere congenita o acquisita, può interessare tutte le fasce d’età, solitamente è accompagnata da disagi a livello psichico e si può curare con delle sedute mirate di fisioterapia o con rimedi naturali.

La cervicobrachialgia è stata categorizzata in base alla localizzazione del dolore:

- Cervicobrachialgia C5: il dolore ha origine dal nervo che ha origine fra la vertebra C4 e la C5 e si manifesta nella zona del bicipite;

- Cervicobrachialgia C6: il dolore si manifesta nel braccio, nell’avambraccio e arriva al pollice;

- Cervicobrachialgia C7: il dolore si manifesta nella zona posteriore del braccio, nell’avambraccio e arriva al dito medio.

SINTOMATOLOGIA

La cervicobrachialgia tende a manifestarsi su un solo lato del corpo anche se i pazienti colpiti dalla patologia, in molti casi avvertono pesantezza in tutti gli arti. 

I sintomi più comuni sono:

- dolore localizzato, molto intenso e spesso insopportabile;

- formicolii;

- rigidità muscolare: difficoltà nei movimenti del collo, del braccio e della spalla;

- il paziente avverte la mano gonfia e fredda anche se in realtà non lo è;

- arti intorpiditi;

- debolezza articolare;

- disagi psichici dovuti dalla difficoltà nel compiere i più semplici gesti quotidiani e soprattutto nel dormire.


CURE

La patologia della cervicobrachialgia va analizzata minuziosamente in modo da individuarne la tipologia e la gravità in modo da intervenire con una cura mirata.

I rimedi previsti sono:

- l’assunzione di antidolorifici, anti-infiammatori, miorilassanti per contrastare il dolore;

- sedute di fisioterapia per contrastare il dolore e ripristinare il funzionamento dell'articolazione (terapia manuale e strumentale);

- sono consigliate delle docce calde o la borsa dell’acqua calda per ridurre i sintomi, rilassare le fibre muscolari e aumentare il drenaggio della circolazione linfatica e venosa;

-  sedute di chiropratica per riequilibrare le vertebre cervicali sublussate e le varie inserzioni nervose;

-  esercizi mirati alla rieducazione della postura e al rinforzo muscolare; 

- è sconsigliato il riposo prolungato;

lunedì 24 ottobre 2016

Chi è il fisioterapista? Ecco di cosa si occupa.

Il Fisioterapista (già terapista della riabilitazione) è un professionista della Sanità in possesso del diploma di Laurea o titolo equipollente, che lavora, sia in collaborazione con il Medico e le altre professioni sanitarie, sia autonomamente, in rapporto con la persona assistita, valutando e trattando le disfunzioni presenti nelle aeree della motricità, delle funzioni corticali superiori e viscerali conseguenti ad eventi patologici, a varia eziologia, congenita o acquisita.

Il fisioterapista: (D.M. 741/94)

- elabora, anche in équipe multidisciplinare, la definizione del programma di riabilitazione volto all'individuazione ed al superamento del bisogno di salute del disabile;

- pratica autonomamente attività terapeutica per la rieducazione funzionale delle disabilità motorie, psicomotorie e cognitive utilizzando terapie fisiche, manuali, massoterapiche e occupazionali;

- propone l’adozione di protesi ed ausili, ne addestra all'uso e ne verifica l’efficacia;

- verifica le rispondenze della metodologia riabilitativa attuata agli obiettivi di recupero funzionale.

- svolge attività di studio, didattica e consulenza professionale, nei servizi sanitari ed in quelli dove si richiedono le sue competenze professionali;

- svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie pubbliche e private in regime di dipendenza o libero-professionale.

Cerchiamo di rispondere alle domande più importanti:

Con chi e dove lavora il fisioterapista?

Il fisioterapista opera sia individualmente sia in collaborazione con altri Operatori sanitari e sociali all'interno di Strutture Sanitarie pubbliche o private, nel territorio e nell'assistenza domiciliare.

Cosa deve saper fare il fisioterapista?

Soprattutto prendersi cura dell'altro: questo comporta un certo impegno emotivo, ma dà l'opportunità di sentirsi utile. Le capacità richieste sono di tipo organizzativo, tecnico e di rilevazione dei bisogni della persona. Sono inoltre indispensabili capacità di stabilire e mantenere relazioni efficaci con il cittadino/utente e con la sua famiglia. Per il fisioterapista è importante lavorare in gruppo, riconoscendo i rispettivi ruoli e dando il proprio contributo nell'interesse della persona assistita.

Cosa deve sapere il fisioterapista e dove lo impara?

Il fisioterapista ha una conoscenza globale dell'essere umano nelle varie età della vita. Ha una cultura specifica della disciplina riabilitativa e cognizioni relative alle scienze umane e sociali. Deve possedere concetti di base di fisica, statistica, informatica, chimica, biologia e genetica; deve conoscere l'anatomia, la fisiologia, la patologia, la medicina clinica delle diverse specialità mediche e chirurgiche. Infine, nel suo curriculum formativo deve aver acquisito principi di diritto, norme etico-sociali che disciplinano l'esercizio della professione, nonché la lingua inglese (soprattutto la terminologia scientifica). Attualmente la formazione del fisioterapista si effettua in Università. Dopo aver conseguito il diploma di scuola media superiore (5 anni), occorre iscriversi al Corso triennale di Laurea in Fisoterapia presso la Facoltà di Medicina, Chirurgia e Scienze della Salute. Il corso prevede un impegno da parte dello studente di 4500 ore fra teoria, di attività pratica (simulazioni, esercitazioni, tirocinio) e si conclude con un esame finale di Laurea con valore abilitante all'esercizio della professione. Fisioterapista è anche quel professionista che ha effettuato un percorso formativo differente avendo ottenuto l'equipollenza ( ex terapisti della riabilitazione, massofisioterapisti pre 99, laurea estera in fisioterapia con riconoscimento da parte del Ministero della Salute ecc...)

Quali sono le prospettive per un fisioterapista?

Da un punto di vista lavorativo, il fisioterapista è una figura attualmente richiesta. In genere, subito dopo aver superato l'esame di laurea, avviene l'inserimento nel mondo del lavoro privato o pubblico. In ambito privato si può esercitare la professione sia individualmente, sia attraverso la creazione di studi associati o cooperative sociali. Da un punto di vista formativo, ha la possibilità di proseguire gli studi mediante il biennio della Laurea Specialistica, con la quale saranno formati i fisioterapisti che aspirano a ruoli dirigenziali nell'attività lavorativa, didattica o ricerca.


Decreto Ministero Sanità 14 settembre 1994, n. 741
(in GU 9 gennaio 1995, n. 6)
Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale del fisioterapista.

IL MINISTRO DELLA SANITA’

Visto l’art. 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, recante: “Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421”, nel testo modificato dal decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517;
Ritenuto che, in ottemperanza alle precitate disposizioni, spetta al Ministro della sanità di individuare con proprio decreto le figure professionali da formare ed i relativi profili, relativamente alle aree del personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione;
Ritenuto di individuare con singoli provvedimenti le figure professionali; 
Ritenuto di individuare la figura del fisioterapista;
Ritenuto che nell’ambito del profilo del fisioterapista vadano ricondotte, come formazioni complementari, le figure del terapista occupazionale e del terapista della psicomotricità;
Visto il parere del Consiglio superiore di sanità, espresso nella seduta del 22 aprile 1994;
Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso nell’adunanza generale del 4 luglio 1994;
Vista la nota, in data 13 settembre 1994, con cui lo schema di regolamento è stato trasmesso, ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, al Presidente del Consiglio dei Ministri;
Adotta il seguente regolamento:
Art. 1
1. E’ individuata la figura del fisioterapista con il seguente profilo: il fisioterapista è l’operatore sanitario, in possesso del diploma universitario abilitante, che svolge in via autonoma, o in collaborazione con altre figure sanitarie, gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione nelle aree della motricità, delle funzioni corticali superiori, e di quelle viscerali conseguenti a eventi patologici, a varia eziologia, congenita od acquisita.
2. In riferimento alla diagnosi ed alle prescrizioni del medico, nell’ambito delle proprie competenze, il fisioterapista:
a) elabora, anche in équipe multidisciplinare, la definizione del programma di riabilitazione volto all’individuazione ed al superamento del bisogno di salute del disabile;
b) pratica autonomamente attività terapeutica per la rieducazione funzionale delle disabilità motorie, psicomotorie e cognitive utilizzando terapie fisiche, manuali, massoterapiche e occupazionali;
c) propone l’adozione di protesi ed ausili, ne addestra all’uso e ne verifica l’efficacia;
d) verifica le rispondenze della metodologia riabilitativa attuata agli obiettivi di recupero funzionale.
3. Svolge attività di studio, didattica e consulenza professionale, nei servizi sanitari ed in quelli dove si richiedono le sue competenze professionali;
4. Il fisioterapista, attraverso la formazione complementare, integra la formazione di base con indirizzi di specializzazione nel settore della psicomotricità e della terapia occupazionale:
a) la specializzazione in psicomotricità consente al fisioterapista di svolgere anche l’assistenza riabilitativa sia psichica che fisica di soggetti in età evolutiva con deficit neurosensoriale o psichico;
b) la specializzazione in terapia occupazionale consente al fisioterapista di operare anche nella traduzione funzionale della motricità residua, al fine dello sviluppo di compensi funzionali alla disabilità, con particolare riguardo all’addestramento per conseguire l’autonomia nella vita quotidiana, di relazione (studio-lavoro-tempo libero), anche ai fini dell’utilizzo di vari tipi di ausili in dotazione alla persona o all’ambiente.
5. Il percorso formativo viene definito con decreto del Ministero della sanità e si conclude con il rilascio di un attestato di formazione specialistica che costituisce titolo preferenziale per l’esercizio delle funzioni specifiche nelle diverse aree, dopo il superamento di apposite prove valutative.
La natura preferenziale del titolo è strettamente legata alla sussistenza di obiettive necessità del servizio e recede in presenza di mutate condizioni di fatto.
6. Il fisioterapista svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie, pubbliche o private, in regime di dipendenza o libero-professionale.
Art. 2
1. Il diploma universitario di fisioterapista conseguito ai sensi dell’art. 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 , e successive modificazioni, abilita all’esercizio della professione.
Art. 3
1. Con decreto del Ministro della sanità di concerto con il Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica sono individuati i diplomi e gli attestati, conseguiti in base al precedente ordinamento, che sono equipollenti al diploma universitario di cui all’art. 2 ai fini dell’esercizio della relativa attività professionale e dell’accesso ai pubblici uffici.

Ecco le malattie professionali dei fisioterapisti.

Magari non ci si pensa, ma anche i fisioterapisti soffrono di disturbi muscolo-scheletrici. Sono lì per curare quelli dei loro pazienti, ma si ammalano a propria volta. A illuminare le patologie di una professione ancora poco indagata è la ricerca “Il rischio da posture incongrue per la spalla: mansioni del fisioterapista e dell’operatore socio-sanitario a confronto”. Lo studio, realizzato dal tecnico della prevenzione Martina Peressoni del Dipartimento di Prevenzione di un’Azienda sanitaria del Friuli Venezia Giulia, con la collaborazione del Servizio di prevenzione e protezione interno della stessa Azienda e dell’european ergonomist Sonia Marino, è stato costruito mediante la somministrazione di 44 questionari e sopralluoghi in reparto per la valutazione del rischio da posture statiche. Il campione è costituito dal personale di una Residenza sanitaria assistenziale, formato per l’80 per cento da donne.

Il 64,3 per cento dei fisioterapisti afferma che il distretto delle braccia è quello maggiormente colpito da malesserealla fine del turno di lavoro (anche se le assenze da lavoro per quel distretto del corpo sono solo del 12,5 per cento); sempre il 64,3 per cento dei fisioterapisti soffre o ha sofferto di patologie agli arti superiori, di cui il 28,6 a carico della spalla. Per quanto riguarda gli operatori socio-sanitari, il 50 per cento evidenzia alla fine del turno di lavoro malessere al tronco e il 40 alle braccia; il 30 per cento rimane assente dal lavoro, per malattia, a causa di disturbi muscolo-scheletrici legati al tronco, mentre il 23,3 riporta di soffrire o di aver sofferto di ernia discale lombare e di patologie a polso e mano-dita.
Passiamo ora all’osservazione diretta delle mansioni. Nel fisioterapista le attività di mobilizzazione di spalla, ginocchio e mano, quando viene utilizzato un “cubo obliquo” (attrezzatura di lavoro deputata al drenaggio della mano del paziente), comportano un maggiore rischio da sovraccarico biomeccanico per la spalla. Le elevazioni delle braccia, inoltre, possono superare i 60 gradi: una postura aggravata sia dall’utilizzo della forza, che aumenta quanto più le articolazioni risultano rigide, sia dal tempo di permanenza in quella posizione, che per queste mobilizzazioni è superiore a un minuto, tempo di mantenimento non raccomandato dalla norma tecnica. Riguardo gli operatori socio-sanitari, la maggior parte delle attività che vengono svolte quotidianamente, come l’igiene e la vestizione a letto dei pazienti, non comportano grandi rischi per la spalla: le elevazioni delle braccia non superano i 45-60 gradi e vengono mantenute per un tempo accettabile. Altre attività che possono causare l’assunzione di posture critiche, come la rasatura della barba in carrozzina o il lavaggio dei capelli a letto di un paziente, sono comunque occasionali, comportando quindi un rischio molto basso.

Il rischio posturale per la spalla dei fisioterapisti è quindi significativo, mentre per gli operatori socio-sanitari risulta minimo. Come intervenire? Gli autori della ricerca propongono, per l’attività del fisioterapista, la realizzazione di studi su tecniche di riabilitazione alternative che tengano conto anche dei principi dell’ergonomia; una volta studiate tali tecniche e valutata la loro efficacia, è necessario darne ampia diffusione con l’organizzazione di specifici corsi di formazione. Per gli operatori socio-sanitari, invece, si sottolinea la necessità di introdurre nei corsi di formazione e addestramento il miglioramento delle posture che vengono assunte nel corso della loro attività che non si limiti al solo distretto del tronco, ma anche agli altri distretti del corpo, valutando poi direttamente in reparto l’efficacia della formazione impartita.